Che Blog è mai questo?

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Cinque giovani uomini stanno provando a capire come le cose vanno filmate, come le cose vanno narrate, come le cose vanno trasmesse, insomma, come si fa il cinema. Quale miglior modo di capire se non quello di ragionare su come se la cava chi ne sa più di noi?

2 luglio 2014

Il Maledetto United

Quell'allenatore che magicamente diventò persona


Due domande sorgono poco dopo i titoli di testa.

1) Ma chi diavolo è Brian Clough?
2) Ma lo United del titolo, non era quello di Manchester?

Alla prima domanda risponderà il film. Alla seconda invece siamo in grado di rispondere da soli. La squadra di cui si parla è il Leeds United, che negli anni '60 e '70 spadroneggiava nella lega inglese. Brian si presenta immediatamente come un uomo arrogante, spavaldo, sicuro di sè e ambizioso. Il tipo di personaggio che serve a mandare avanti una storia insomma.

E la storià filerà. Cominci ad appassionarti da subito, quando lo sceneggiatore compie quella che alcuni definiscono "semina": lancia una profezia.

"Non troverò pace finchè non avrò superato qualsiasi traguardo quell'uomo ha mai raggiunto".

La pronuncia lo stesso Clough, il protagonista di questa bella storia, e l'uomo a cui si riferisce è il mitico Don Revie, suo predecessore sulla panchine del Leeds. È una storia di sport in giacca e cravatta, è la vittoria di un uomo su sè stesso, è un pezzo di storia calcistica narrato con la maestria di un vero cineasta, Tom Hooper ("Il discorso del Re", "Le Miserables").



La nobiltà come valore assoluto, la sfida come ragione di vita


L'abbiamo detto prima: Brian Clough è arrogante, pieno di sè, egocentrico. Ma come un vero aristocratico ottocentesco, a queste caratteristiche ne aggiunge un'altra: la nobiltà, in questo caso d'animo. Sì, perchè l'allenatore che prima di approdare al Leeds guidava il Derby County, predica il calcio pulito, il calcio bello da vedere, giocato di tacco, non coi tacchetti.
Proprio per questo motivo odia Don Revie, appena approdato sulla panchina della nazionale. Lo United di Revie è forte, fortissimo, e ha i giocatori migliori.
Ma gioca sporco.
Don sfrutta i favoritismi che gli arbitri gli concedono a causa del blasone della società e incita i giocatori a qualsiasi tipo di scorrettezza, fisica, verbale e morale contro gli avversari.

il maledetto united
Sembra quasi che l'obiettivo di Brian non sia quello di vincere, vincere sempre di più. D'altra parte, quello lo faceva già prima. Già, perchè col Derby, partendo dalla seconda divisione, ha saputo approdare in Premier League, e in pochi anni, ha saputo vincerla.

Allora cosa? Era percaso un esteta del calcio, un dandy collezionatore di palloni che puntava solamente al bel gioco e voleva i migliori giocatori per farlo? No, i grandi giocatori ce li aveva anche al Derby County, e il gioco era il migliore d'Inghilterra.
I soldi, quindi? Neanche, spesso cita il miglior compenso che il Leeds gli offriva, ma non è credibile come motivazione.

Clough è un tipo da sfide. È dinamico, si vuole mettere alla prova, e vuole soprattutto vedersi riconosciuto per quello che lui credeva di essere ( e forse, per una volta, era): il miglior allenatore d'Inghilterra; e per farlo avrebbe dovuto disporre degli stessi mezzi di chi aveva fatto meglio di lui, e battere ogni suo record.
Per questo prende il posto di Don Revie e fa quella promessa ai dirigenti del Maledetto United, appena arrivato nella sede della società.

Fallirà.
Fallirà miseramente.

I nuovi giocatori non lo accetteranno mai, legati anima e corpo a Don Revie. La dirigenza saà sempre contro di lui. Gli infortuni lacereranno la squadra.
Sarà licenziato dopo 44 giorni.

Ma in questa storia abbiamo dimenticato un dettaglio importante. Perchè ogni Re ha sempre il suo fedele consigliere, ogni Nerone il suo Seneca.


"In cima non ci si arriva da soli"


Questa storia ha un altro magnifico protagonista. Un personaggio il cui nome, Peter Taylor, mi ricorda un po' quel capolavoro che fu "La Talpa" ("Tinker Taylor Soldier Spy") e che come spia sembra comportarsi: è l'osservatore, il braccio destro dell'allenotore; il suo compito è "spiare" i giocatori delle squadre avversarie e scegliere quali saranno i migliori acquisti per la squadra; in più, proprio come una spia, a inizio film sembra essere un personaggio di secondo piano, eclissato da Clough, l'esca.

Ma in realtà il pluripremiato allenatore inglese è quello che ci mette la faccia, il carisma, la volontà. Ma quello che manda avanti la baracca, al Derby, è proprio Taylor. È lui che sceglie gli acquisti. È lui che calma Brian nei momenti di crisi, è lui a tenere saldi i burrascosi rapporti dell'allenatore con la dirigenza.
Purtroppo però peter non ha l'intraprendenza del suo socio. Non lo accompagna al Leeds, un'avventura che non poteva affrontare. Uno come Peter non avrebbe mai potuto servire la causa dei suoi rivali di sempre. Per questo sceglie la tranquilla Brighton come nuova squadra. Per questo si rifiuta di aiutare Clough quando gli telefona, disperato, in cerca di un consiglio per riuscire con lo United.

Per questo, prima di perdonarlo e di trovargli un nuovo posto da allenatore  dopo quei maledetti 44 giorni, lo farà inginocchiare davanti a sè e si farà chiedere umilmente scusa.
Perchè Brian è ancora un po' bambino.
Pensa di poter fare quello che vuole, pensa di essere il più bello e bravo, finchè non gli dimostri il contrario. E se fosse già adulto, non avrebbe potuto imparare il rispetto e l'amicizia a 38 anni, perchè sono cose che si imparano solo da bambini.



La tecnica funzionale e pregiata


Un meritato paragrafo a parte va alla componente tecnica del film: una regia pulita, oggettiva a tratti documentaristica a tratti televisiva e perfetta per questo tipo di film, tratto da una storia vera. Una fotografia paurosamente efficace, ti senti trasportato negli anni settanta dopo due fotogrammi. E poi gli attori, Michael Sheen e Timothy Spall, egregi, fatti apposta per il ruolo. e quel sorrisino sornione di Sheen (che avevo già adorato alla pazzia in "Frost/Nixon") non me lo toglierò più dalla testa.

E poi dico che mi sta sul cazzo Mourinho. È proprio vero che la coerenza davanti a uno schermo va a puttane.

by E. N.,
senza capire se ha di nuovo voglia o meno, ma almeno ora un po' distratto


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