"Il Colore Viola" nella mani di un artista
Sono entrato nella sala di proiezione in cui ho visto "12 Anni Schiavo" un po' sfavato, perchè quel giorno volevo davvero tanto andare a vedere "A Proposito di Davis" dei Coen, maestri del cinema che io personalmente adoro.
Il film di Steve McQueen invece non ispirava particolarmente:le storie di schiavitù mi hanno sempre un po' annoiato e il progetto sembrava pensato con l'obiettivo di una vittoria agli oscar.
Che dire, a volte qualcuno ti impresta la palla di vetro e neanche te lo dice.
MA.
Ci sono un sacco di MA da aggiungere in questa introduzione:
MA anche se io di McQueen ho visto solo "Hunger", il regista è uno coi controcazzi (ed è bellissimo, sembra un enorme panda pacioso e spaventoso allo stesso tempo) .
MA un cast così lo si vede raramente (Ejifor, Fassbender, Cumberbatch, Dano, Giamatti, Pitt, Nyong'o).
MA, considerando l'indole cruda e verista del regista,
mi ha fatto pensare che un po' di sana violenza ben dipinta che di solito in questo genere di film è rappresentata in modo buonista e censuratorio avrebbe potuto aggiungere un po' di pepe.
McQueen è stato all'altezza di queste aspettative?
Tempo di confronti
Parte prima: un nero è fatto schiavo.
Sviluppo: il nero in questione è un nero davvero figo; è bravo e intelligente e magari pure forte. Il padrone lo apprezza davvero un sacco.
Parte finale: il nero grazie ai suoi meriti viene liberato.
La struttura è sempre quella, è un film sulla schiavitù nelle piantagioni nell'America otto-novecentesca. Che sia Whoopi Goldberg (Celie Harris) o Chiwetel Ejiofor (Solomon Northup), che sia la Georgia o la Louisiana, il succa non cambia.
Quella descritta è la struttura a cui sia "12 Anni Schiavo", sia "Il Colore Viola" (preso come esempio di tutti i film che trattano del tema SCHIAVITU' NEI CAMPI) si affidano per creare l'intreccio sullo schermo. E per tutti i diavoli, questa è una struttura che funziona. L'empatia che si crea all'inizio della trama ci aiuta a parteggiare per il protagonista più che in qualsiasi altro tipo di film (si sa, tutti tifiamo sempre per il più debole se sappiamo che alla fine vincerà) e la parte finale ci fa pensare che il mondo sia comunque una bella cosa.
(he è una cosa vera, ma di sicuro non perchè tutto va sempre a finire bene).
Il punto qui è che un film, quello di Spielberg, non è un gran bel film, mentre un altro, quello di Steve "Kung Fu Panda" McQueen, è un bel film. E forse, come direbbe Clive Owen su suggerimento di Spike Lee (curioso che venga fuori proprio il nome di Spike in questa recensione... è proprio vero che la nostra mente non lavora mai a caso), è proprio qui che sta l'inghippo.
Ovvero, il Regista. Il despota della macchina da presa, l'ago della bilancia di un meccanismo complesso, la scheda madre del computer Cinema, l'interruttore di un circuito RCA.
Perchè se Spielberg dirige in modo canonico e, come detto prima, molto buonista e conformista, la macchina da presa di McQueen, anche se più spersonalizzata rispetto a quella di "Hunger", riceve i benefici del suo tocco.
Quindi già all'inizio del film, nella prima inquadratura, vediamo un gruppo di schiavi, in silenzio e in attesa. Un'inquadratura che dura diversi secondi, periodo di tempo in cui noi, spettatori, ci sentiamo proprio come gli schiavi che vediamo davanti a noi: siamo in attesa di vedere o sentire qualcosa muoversi sulla pellicola così come loro attendono un movimento o un ordine del proprio padrone. E siamo spauriti, indecisi, perchè non sappiamo cosa ci può attendere. Un colpo di genio, un po' di meta-cinema che aiuta a entrare nella pellicola.
Diverse volte nel film assistiamo a questi momenti silenziosi e sospesi, soprattutto in alcuni prmi piani prolungati di Chiwetel/Solomon, che ci fanno capire quali sono le cose che fanno riflettere il protagonista, quali i momenti importanti di questo film.
E poi la violenza di cui parlavo sopra.
Steve non mi ha deluso. Le sequenze di violenza (prenderò come esempio la scena della fustigazione di Patsey/Lupita Nyong'o) hanno un punto di vista oggettivo, che anche se evita la ripresa della ferita appena inflitta (insomma, bisogna vincere un'Oscar e piacere alla massa) riesce a raccontare le emozioni dei protagonisti in modo distaccato e quindi più crudo, vero.
Tutto in questo film cerca di essere oggettivo. La stessa fotografia è molto piatta, fissa su colori più neutri e saturi del normale, a sottolineare il non voler caricare l'immagine di troppa potenza emotiva che avrebbe potuto spingere lo spettatore a parteggiare eccessivamente per il protagonista. Le emozioni sono descritte solo da azioni e parole. Altra diversità da "Il Colore Viola".
Geniale sì, artista sì, perfetto no
Sì perchè oltre a trattare una sceneggiatura fatta apposta per gli Oscar, risultando non poco ruffiano, Steve McQueen (il soggetto del titoletto) compie alcune scelte che non sono così felici.
Per esempio rende il film lunghissimo, quasi tre ore. Un azzardo, che il ciccioso regista di colore ha preso perchè si sa, se un film è lungo ha buona probabilità di essere accolto come intellettuale e quindi più papabile per l'Academy.
Certo, il film non risulta eccessivamente lungo. Roba che al confronto ""La Desolazione di Smaug" sembra non solo un cancro al sedere (effetto che ti da una sua visione senza alcun termine di paragone), ma sembra vera e propria assunzione in cielo delle proprie natiche che si staccano dal proprio corpo... MA.
Certo, la trama non è la più scontata delle scontate, la struttura anche se rivista è solida... MA.
Certo, l'oggettività rende il film più crudo, ma impedisce anche di assimilarsi totalmente col protagonista: un bene per tutto il film, ma il finale pecca di quell'emozione che ti darebbe una conclusione positiva per un personaggio che senti effettivamente tuo amico. Sarà che fin dall'inizio sappiamo che Solomon non è uno schiavo, quindi quando viene liberato arrivi quasi da dire:
"Grazie al cazzo, bastava trovare quel pezzo di carta e finiva il film 2 ore fa".
...MA.
E certo, tutti sappiamo che McQueen è bravissimo e che anche in questo film le sospensioni della narrazione, alcune sequenze più simboliche (il canto dello schiavista John/Tom Dano sovrapposto al lavoro nei campi) e il comparto tecnico in generale contribuiscono a dare un tocco davvero artistico al film... MA il vero Steve McQueen non è questo.
Tanti MA, per l'appunto.
#Oscar2014 : tiriamo le somme
Quindi, questo "12 Anni Schiavo" è di certo un bel film. Aveva l'obiettivo della vittoria agli Oscar e l'ha centrato. Ma sappiamo tutti quanto poco siano indicative le statuette che un film vince per giudicarne la qualità.
Altrimenti "Forrest Gump" sarebbe davvero un capolavoro.
Tutto sommato per fotografia e regia questo film un Oscar poteva anche portarselo a casa CON MERITO. Avrei di gran lunga preferito "Gravity" come Miglior Film e "12 Anni Schiavo" come Miglior Regia. E poi l'Oscar a Lupita Nyong'o sa tanto di regalato proprio per premiare un film fatto apposta per piacere (a parte il fatto che nel film appare molto poco, la recitazione non mi è sembrata così esaltante).
McQueen non ha toppato. Ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Scorsese a inizio carriera (vendersi un po') perchè i fantasmi dell'Oscar non lo perseguitassero fino al 2006 con "The Departed". Magari ora Steve si sentirà ancora più artisticamente libero di prima e assisteremo a una carriera bella come il sole.
O bella come lui.
Ciccione giocondo da schiacciare.
by E.N.,
innamorato rifiutato
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