Che Blog è mai questo?

Che Blog è mai questo?
Cinque giovani uomini stanno provando a capire come le cose vanno filmate, come le cose vanno narrate, come le cose vanno trasmesse, insomma, come si fa il cinema. Quale miglior modo di capire se non quello di ragionare su come se la cava chi ne sa più di noi?

20 luglio 2014

Le Streghe di Salem

Rob Zombie nell'olimpo dell'horror

 

Devo dire la verità, non guardo spesso film horror, perchè la probabilità di beccare qualcosa di decente è sempre più bassa col passare degli anni; l'ultimo che ho visto senza prima controllare qualche recensione è stato il remake de "La Casa", che qui in Italia è arrivato col titolo originale e molto più appropriato di "The Evil Dead":
Quel film mi aveva divertito moltissimo: non era certo un capolavoro, ma faceva il suo dovere.

Comunque,  non ho mai visto un film di Rob Zombie, lo conosco solo grazie al buon Frusciante, e ho guardato "Le Streghe di Salem" perchè mi piaceva tanto, ma proprio tanto, il poster (i poster, sia quello blu che quello giallo che quello rosa).

Credo siano molte poche le persone che capiscono cosa è davvero un horror. Lo penso perchè io ho il sospetto di averlo fatto davvero solo dopo la visione di questo film, che non so se definire capolavoro, ma che di sicuro è un'opera da studiare e ristudiare, da capire.

Una chiave di lettura su un panorama arido che è l'horror di oggi, in particolare quello americano.

Un'ultima ciliegina prima di continuare con il mio commento: un vescovo, dopo la visione della pellicola, ha ventilato una minaccia di scomunica nei confronti di Rob Zombie.
"Capite voi quello che intendo, capite voi quello che intendo"
cit.

17 luglio 2014

VIDEOTECA #1

1: In un Mondo Migliore

 

Film profondo e riflessivo, che parte dagli ospedali posticci per gli aiuti umanitari in Africa e poi ti sorprende, parlandoti di una storia di "ragazzi interrotti" in Danimarca e dei loro genitori, pieni di lacune ma anche di pregi.
Stupisce ancora di più quando il calmo Christian, ragazzino che ha appena perso la madre, si trasforma in un freddo e riflessivo vendicatore. Quasi un piccolo attentatore, che cerca di salvaguardare la figura paterna del suo unico amico Elias, perchè la sua l'ha già persa: incolpa suo padre della morte della perdita che ha subito, e ha di conseguenza perso ogni forma di rispetto nei confronti del suo unico genitore..
E così ci chiediamo quanto in realtà possa influire la perdita di un genitore su di un figlio, ma anche e soprattutto come questo trauma possa mettere alla prova anche l'altro genitore, sia come sposo/a che come padre/madre.
Fantastico Mikael Presbrandt nei panni di un medico, padre di Elias, che cerca di riportare entrambi i ragazzini sulla retta via, emblema di quegli uomini in bilico tra lavoro e famiglia, incapaci di scegliere una delle due cose perchè amano troppo entrambi. Regia di Susanne Bier, vincitrice di Golden Globe e Oscar come miglior film straniero. - VERY GOOD


 2: Le Cronache di Narnia - Il Viaggio del Veliero


"Il Viaggio del Veliero" era a mia modesta ma convinta opinione di gran lunga il più bello dei sette libri scritti da C. S. Lewis, ma a giudicare dalle altre due esperienze cinematografiche dell'universo di Narnia ("Il Leone, la Strega e l'Armadio" e "Il Principe Caspian") le aspettative su questo film non erano altissime; forse anche per questo non sono rimasto deluso dalla visione. Il film è altalenante: inizia bene, l'incipit alla grande avventura per nave dei più piccoli dei fratelli Pevensie e del loro viziato cugino Eustachio è appassionante e veloce (ma necessita come minimo di una conoscenza sommaria dei due precedenti capitoli). Nella parte centrale si susseguono episodi a volte inutili, a volte narrati solo superficialmente, per raggiungere un finale forse un po' scontato ma comunque evocativo ed efficace. Ci sono diverse pecche: attori di pietra (uno su tutti Ben Barnes, nella parte del principe), messa in scena, fotografia e effetti speciali da film TV, ma anche una mancata caratterizzazione di Ripicip, il topo combattente, che più di tutti dovrebbe incarnare lo spirito di avventura, il coraggio e la nobiltà della scoperta: ma tutto questo rimane nelle pagine del quinto libro de "Le Cronache di Narnia". - MAH


3: Lupin III - Il Castello di Cagliostro

  

Il Lupin disegnato dallo studio Ghibli è sempre stato affascinante. In realtà, la figura stessa del ladro gentiluomo ha sempre rivestito un ruolo d'onore nell'immaginario collettivo, soprattutto per chi in Italia ha vissuto la sua infanzia e adolescenza negli anni '80-'90, come il sottoscritto. 
Questo lungometraggio tratto dalla serie giapponese può vantare un'animazione come al solito impeccabile di chiara marca Miyazaki, fondatore del più grande studio di animazione in terra orientale, e tutti i marchi di fabbrica che si vedono anche negli episodi in TV (il tesoro da trovare, la fanciulla che si innamora di Lupin, quella di cui lui è innamorato, l'eterna lotta con l'ispettore Zenigata, i fedeli compagni Goemon e Jigen) ma il tutto è spalmato in un'ora e mezza, e con il pregio di mantenere un ottimo ritmo che fa fluire la pellicola velocemente. 
Una squisita avventura, che alla fine tocca anche una tematica importante, quella della falsificazione delle banconote, che per una volta unirà sotto la stessa bandiera ladro e ispetore. 
Imperdibile per i fan, godibile per tutti gli alri. - GOOD 

 4: Don Jon

 

Bello. Italiano. Palestrato. Sufficientemente agiato. Cattolico.
Tutte queste caratteristiche definiscono una parte di Jon Martello Jr. (nome molto poco stereotipato, non posso fare a meno di notarlo). Ma nessuna lo definisce come queste tre:
amante del sesso.
Sesso in generale: quello praticato in due, quello praticato da solo, ma anche quello virtuale. Soprattutto quello virtuale. Il sentimento è di troppo per Jon, la pudicizia delle ragazze della vita reale lo stufa. Solo il porno appaga le sue fantasie. Questa commedia, diretta e interpretata dal bravo (anche se un po' ruffiano, a volte) Joseph Grdon-Levitt è divertente, appagante per lo stomaco e anche per gli occhi (mamma mia che topa, la bella Scarlett). Ma non fatevi trarre in inganno: molti la osannavano come commedia che distrugge i cardini del genere: beh, non è così. Sì, le premesse sono un po' scioccanti, ma l'happy ending è sempre lo stesso, e gli sviluppi dell'introduzione non sono sconvolgenti. Ma l'originalità non sta tanto nella trama, quanto nel montaggio, che sfrutta anche soluzioni sonore (il suono dell'accensione del pc, che preannuncia l'autoerotismo di Jon) per scandire le varie parti del film. Applausi per una commedia finemente intelligente e al passo coi tempi, ventata di freschezza nelle commedie romantiche. - GOOD


5: Big Wedding

 

Sono stato costretto a vederlo. Io non lo volevo fare. Lo giuro. Eppure, mi è toccato pagarlo al cinema. Se "Don Jon" è una ventata di freschezza, questo "Big Wedding" è il festival del già visto. Del riciclato. Dello stupido. È brutto vedere attori come De Niro, Robin Williams, Susan Sarandon e Diane keaton (recentemente tornata alla ribalta con questa e un'altra commedia con Michael Douglas, "Mai così Vicini") ridottisi a far parte di film come questi. Certo, ormai non è più una novità (sopratutto per il Bob più famoso di Hollywood), ma rimpiangiamo sempre di più la roulette russa in Vietnam, i professori che aiutano i giovani talentuosi, le scorribande per l'Arizona e le passeggiate a Manhattan.
Un po' "Mamma Mia!" (la sposa è di nuovo Amanda Seyfried) senza Abba e fantasia, un po' "Ti Presento i Miei" senza Ben Stiller a fare da mattatore, il remake del francese "Mon Frére se marie" può contare su attori in pessima forma (tra cui il già citato Ben Barnes, qua non più Caspian di Narnia ma sposo della Seyfried), comicità che quando non è idiota o scontata non fa ridere, regia quasi inesistente e TROPPO BIANCO, c'è qualcosa di bianco in ogni inquadratura. Forse solo la side-story della sorella dello sposo, interpretata da Catherine Heigl, non ti farebbe alzare dalla poltrona.
Snervante. - VERY BAD

8 luglio 2014

Bronson

Talento, istinto, bisogno e condanna: l'esteta della violenza


bronson poster
Nicholas Winding Refn è uno dei registi più talentuosi del momento.  
"Drive" e questo "Bronson" mi sono bastati a trovare la conferma di questa affermazione, che avevo letto e sentito svariate volte negli ultimi tempi.

Violenza.

Imperativo categorico dei suoi film, la violenza lega indissolubilmente le due pellicole e i due personaggi che di queste pellicole sono protagonisti: il guidatore interpretato da Ryan Gosling e Mickey Peterson alias Charles Bronson, interpretato da un Tom Hardy sontuoso e incisivo con lo stesso fisico che avrebbe caratterizzato il suo Bane in "The Dark Knight Rises" quattro anni dopo.

Ma se il protagonista di "Drive" con la violenza ha a che fare e la usa solo quando costretto, il Bronson di Hardy la violenza la vive e la usa per piacere: un piacere morboso che sa quasi di necessità, "piacere" che va inteso sia come sostantivo che come verbo.
Già, perchè l'uomo che diventerà il detenuto più famoso d'Inghilterra, a diciannove anni, era solo un ragazzo che voleva farsi conoscere.


2 luglio 2014

Il Maledetto United

Quell'allenatore che magicamente diventò persona


Due domande sorgono poco dopo i titoli di testa.

1) Ma chi diavolo è Brian Clough?
2) Ma lo United del titolo, non era quello di Manchester?

Alla prima domanda risponderà il film. Alla seconda invece siamo in grado di rispondere da soli. La squadra di cui si parla è il Leeds United, che negli anni '60 e '70 spadroneggiava nella lega inglese. Brian si presenta immediatamente come un uomo arrogante, spavaldo, sicuro di sè e ambizioso. Il tipo di personaggio che serve a mandare avanti una storia insomma.

E la storià filerà. Cominci ad appassionarti da subito, quando lo sceneggiatore compie quella che alcuni definiscono "semina": lancia una profezia.

"Non troverò pace finchè non avrò superato qualsiasi traguardo quell'uomo ha mai raggiunto".

La pronuncia lo stesso Clough, il protagonista di questa bella storia, e l'uomo a cui si riferisce è il mitico Don Revie, suo predecessore sulla panchine del Leeds. È una storia di sport in giacca e cravatta, è la vittoria di un uomo su sè stesso, è un pezzo di storia calcistica narrato con la maestria di un vero cineasta, Tom Hooper ("Il discorso del Re", "Le Miserables").

31 marzo 2014

Gravity

Il mito della rinascita e la Fantascienza che vorremmo


L'abilità. Il fare scuola. La tekne, come direbbe Socrate.
Il film di Alfonso Cuaròn vive di tecnica e, per una volta meritatamente, questo fatto viene riconosciuto anche dall'Academy che gli fa vincere praticamente tutti i premi nelle categorie tecniche.

Regia. Fotografia. Montaggio. Effetti speciali. Sonoro. Montaggio Sonoro. Colonna Sonora.
Sul premio alla Miglior Regia ho un piccolo appunto da fare, ma lo spiego meglio al fondo di questo articolo.

Però questo "Gravity", a mio parere, meritava una vittoria anche nella categoria principale, quella di Miglior Film. Non perchè sia superiore a pellicole come "12 Anni Schiavo" o "The Wolf of Wall Street", anzi. Forse il secondo, a conti fatti è anche meglio; non tanto nella realizzazione o nel fascino che i due film hanno durante la visione (completamente diverso, sia ben chiaro, ma ugualmente efficace), ma nelle finalità della produzione: un film con George Clooney e Sandra Bullock non può non avere anche una fortissima spinta verso il lucro. Certo, anche DiCaprio è mainstream, ma la sua scelta ha un senso (se non altro come fantoccio dell'artista Scorsese); scegliere la Bullock, invece, non ha mai senso, tranne quello di voler attirare il suo pubblico.

Quello che però eleva il film è il ritorno a un certo tipo di fantascienza che da anni ormai sembra essere stata abbandonata.
Quella che stupisce, affascina, e cambia le persone. Perchè per fare la guerra basta e avanza la Terra.

26 marzo 2014

Il Grande Lebowski

La dannata commedia umana che procede e si perpetua

 

Se sei Jeffrey Lebowski, detto Drugo, non puoi tollerare che un muso giallo qualsiasi pisci sul tuo tappeto, perchè se sei Drugo il tappeto è parte integrante della tua vita. Come la tua poltrona, la tua palla da bowling, le tue audiocassette. Le piccole cose, insomma. Puoi decidere di smuovere mari e monti solo perchè quel tappeto è stato rovinato. Ma se scompaiono dalle tue tasche diverse migliaia di dollari il tuo pensiero sarà: "la vita va avanti!", perchè quei soldi sono qualcosa di troppo grande per te.

Se invece sei Jeffrey Lebowski, miliardario invalido veterano del Vietnam, quando qualcuno (Drugo) ruba uno dei tuoi tappeti la cosa passa inosservata. Ma se a sparire sono i soldi, la tua priorità diventerà ritrovarli, non importa come.

È su queste basi che si sviluppa la trama de "Il Grande Lebowski", capolavoro a volte troppo sottovalutao dei fratelli Joel e Ethan Coen, geni del cinema contemporaneo. Atmosfere country-western aprono la pellicola, e una voce narrante ci mette in guardia: stiamo per assistere a quanto di più stupefacente si possa vedere in tutti quegli altri posti che non sono Los Angeles, California.

Che poi, a visione conclusa, questa vicenda non ha niente di apparentemente stupefacente. Non ci sono colpi di scena colossali come in "The Prestige", non ci sono astrazioni visionarie come in "2001: Odissea nello Spazio", non ci sono gesta eroiche come ne "Il Signore degli Anelli".

Ma sfido chiunque a contraddire quel cowboy parlante in sottofondo che sa tanto di profeta.
Qualcosa di speciale questo film ce l'ha. Anzi, ha tanto di speciale. Questo film ha cuore. Questo film ha sincerità. Questo film, forse, ha in sè della verità.

Diciamo che dava un tono all'ambiente.

25 marzo 2014

Storia d'Inverno

La condanna che ci infligge il nostro Destino


Cibo per orsi.
Questo film è cibo per orsi.

Akiva Goldman è un nome particolare, quando lo si sente sembra riferito a un autore nordeuropeo (o almeno, a me Akiva suona parecchio svedese/finlandese), e il titolo del suo primo film da regista, "Storia d'Inverno", è molto evocatore.
Insomma, a me dava tanto la sensazione di trovarmi davanti a un'opera sentita e impegnata.

La presenza di Colin Farrell, Russel Crowe, Will Smith già ti fa storcere il naso, nel senso che acquista in partenza un voluto carattere mainstream. Ma anche "Eternal Sunshine of the Spotless Mind" aveva nel cast Jim Carrey e Kate Winslet, quindi nessun pregiudizio.

Grazie a Dio non ho fatto caso a chi diavolo fosse effettivamente Akiva Goldman. Codesto personaggio, infatti, è uno sceneggiatore; e non uno sceneggiatore qualsiasi. Bisogna essere competenti per sceneggiare "A Beautifl Mind".
Bisogna esserlo un po' meno per sceneggiare "Batman Forever". O "Batman e Robin". O "Constantine".

Insomma tutto questo per dire che mi ero tremendamente sbagliato: altro che operazione artistica nordeuropea.
Questo Akiva è un hollywoodiano fatto e finito, quindi tagliamo la testa al toro: quando un hollywoodiano vuol dirigere un film strappalacrime nasce sempre una merda.
E allora iniziamo a raccontarla, questa merda.

23 marzo 2014

12 Anni Schiavo

"Il Colore Viola" nella mani di un artista

 

Sono entrato nella sala di proiezione in cui ho visto "12 Anni Schiavo" un po' sfavato, perchè quel giorno volevo davvero tanto andare a vedere "A Proposito di Davis" dei Coen, maestri del cinema che io personalmente adoro.
Il film di Steve McQueen invece non ispirava particolarmente:le storie di schiavitù mi hanno sempre un po' annoiato e il progetto sembrava pensato con l'obiettivo di una vittoria agli oscar.

Che dire, a volte qualcuno ti impresta la palla di vetro e neanche te lo dice.
MA.
Ci sono un sacco di MA da aggiungere in questa introduzione:

MA anche se io di McQueen ho visto solo "Hunger", il regista è uno coi controcazzi (ed è bellissimo, sembra un enorme panda pacioso e spaventoso allo stesso tempo) .
MA un cast così lo si vede raramente (Ejifor, Fassbender, Cumberbatch, Dano, Giamatti, Pitt, Nyong'o).
MA, considerando l'indole cruda e verista del regista,
mi ha fatto pensare che un po' di sana violenza ben dipinta che di solito in questo genere di film è rappresentata in modo buonista e censuratorio avrebbe potuto aggiungere un po' di pepe.

McQueen è stato all'altezza di queste aspettative?

19 marzo 2014

Star Wars: Vecchia e Nuova Trilogia

Breve e stringata opinione MOLTO personale


Ho iniziato a scrivere questo post pensando di parlare in modo più dettagliato del solo sesto episodio della saga perchè è quello che riassume meglio di tutti gli altri il mio pensiero generale su"Guerre Stellari": infantile, sopravvalutata ma sicuramente non orribile.
Già a questo punto dell'articolo potrei essere mangiato dai fan V&F (Veri e Fieri) del Camminatoredeicieli.
"Perchè Guerre Stellari è un capolavoro assoluto!"
"Ah sì? E perchè è un capolavoro?"
"È un capolavoro e basta! Non capisci un cazzo se dici il contrario!"
 Quanto amore per queste persone colorite e consapevoli.

Metto le mani avanti: sotto un ovvio punto di vista"Star Wars" È un capolavoro. Solo un cieco potrebbe non vedere la scia di influenze che questa saga ha lanciato verso gli anni a venire, rilanciando il genere fantascientifico, riscrivendolo in parte, e innovando per l'epoca ogni tipo di effetto speciale, per gli standard di allora assolutamente ineguagliabili.

Quasi ogni prodotto di fantascienza contiene omaggi a George Lucas e alla sua creazione, un numero immenso di brand di tutti i generi ha creato dei prodotti ad essa ispirati.
Eppure, c'è qualcosa dentro di me che non mi fa piacere il mondo di "Guerre Stellari".  Non dico solo i film. Il mondo.

Bah, sarà tutto colpa degli Ewok.
O del fatto che il vero protagonista non è quello che viene spacciato per tale.
O che su sei film se ne salvano solo due per il rotto della cuffia.
Merda, ho già detto troppo. Ora metto ordine nella mia testa ultimamente più incasinata che mai.

17 marzo 2014

In Time

Un piccolo martire di Hollywood


Andrew Niccol, regista di questo "In Time", non verrà mai ricordato per le sue prestazioni dietro la macchina da presa, questo è un fatto.
Però c'è anche da dire un'altra cosa: Andrew Niccol ha ideato e sceneggiato quella perla irrangiungibile che è "The Truman Show". Quindi non bisogna prendere l'apertura di questo post come una condanna. Proprio per niente.

Certo, per meritarsi il titolo di Martire di Hollywood© qualche croce in testa, qualche palo nel didietro dovrà pur avercelo questo film. Ebbene, questa croce/palo si chiama Justin Timberlake, musicista/attore/icona pop/fighetto che in questo film interpreta il ruolo principale. È davvero così cane a recitare da far scendere a picco la qualità della pellicola?
No.
Cattura tutta l'attenzione su di sè distraendo chi guarda dal film?
Più o meno.
Nel senso che sì, cattura su di sè tutte le attenzioni, ma lo fa prima della visione. Detto in parole povere, cattura tutti i pregiudizi verso se stesso attore e verso se stesso in generale: fichetto mainstream mangiasoldi.

Ma questo non è vero...

15 marzo 2014

Spring Breakers

"Spring breakERS forever... Spring breakERS forever, bitches..."


Non conosco Harmony Korine.
Non ho visto "Gummo", il suo film precedente, e il poco che so sul suo conto si può riassumere in queste parole: rompipalle del benpensiero. Controcorrente e indie, indie sul serio.

Quindi considerando queste basi il film (di cui sono venuto a conoscenza mesi dopo l'uscita nelle sale, perchè qua in Italia si pompano sempre i film più meritevoli...) avrebbe dovuto attirarmi già prima della visione.


Poi, leggendo la trama, le aspettative un po' calano. Insomma, quattro ragazzine che vanno allo spring break e entrano pian piano nel circolo della perdizione non è esattamente una sinossi che alza l'hype prima della visione. Sembra uno di quei film per adolescenti idioti che danno il martedì sera su MTV.
Già... MTV (tenete a mente questo riferimento per dopo).

Come seconda cosa osservi il cast: James Franco passa il test. Ma ci sono anche Vanessa Hudgens e Selena Gomez. la Hudgens che baciava Zach Efron in "High School Musical" e la Gomez che fino a due giorni prima si baciava Justin Bieber tra un ciak e l'altro de "I maghi di Waverly".
Attricette della Disney, insomma.
Già... la Disney (tenete a mente quest... blah, blah blah avete capito).

"Oh mio Dio" mi dico, "Oh mio Dio, che scelte pessime". Mai stato più in errore.

14 marzo 2014

La Grande Bellezza

Perchè a me Sorrentino piace


Sì, l'ho già detto. Sorrentino mi piace e La Grande Bellezza pure. Ma anche se le mie sono parole a caso, frutto di una mente frullata e troppo recettiva, sono comunque ragionate.
Ecco questi ragionamenti.

Premesse e precisazioni preliminari (#allitterazionemiapassione)


Dobbiamo a mio malgrado partire dal fatto che Paolone, visivamente, mi piace tantissimo. Rispecchia il mio gusto per la maestosità e la magniloquenza delle inquadrature, la geometria che dà ad ogni messa in scena è qualcosa che mi ha sempre attirato. Ho capito questa cosa guardando i quadri/fotogrammi di Wes Anderson, altro regista che io adoro, con uno stile molto diverso ma accomunato al nostrano Sorrentino dalla razionalizzazione geometrica delle immagini.

E dobbiamo partire dal fatto che Paolone ha un gusto musicale incredibile, un talento nel scegliere le musiche per i propri film davvero notevole. E per uno che come me considera la colonna sonora importante almeno quanto le prove attoriali, per giusdicare un film questo fatto è importantissimo, ed è uno dei fili conduttori della produzione Sorrentiniana che me lo fa apprezzare. La soundtrack di This Must Be the Place, poi, è stata l'apice, e anche nell'opera in questione non è da meno.

Infine, devo precisare che Paolo Sorrentino, Napoli, 1970, mi sta simpatico. O meglio, mi attira. Perchè è a metà tra la presunzione di essere un genio e l'esserlo davvero. Perchè è egocentrico e a volte un po' masturbatorio ma conosce anche i suoi miti. Perchè bene o male è un artista. Decadente sì, ma artista.